data: 08.08.2020
distanza: 52km
dislivello: 1271d+
bicicletta: BMC SLR01, Cervélo R3
ciclista: Giannino, Ema
Quella di ieri non è stata l’impresa più dura che abbia mai compiuto in bici da corsa. Sono stato due volte sullo Stelvio, sul Galibier, sull’Alpe d’Huez, Telegraph, Colle dell’Agnello e tante altre salite epiche. Nel 2014 per scalare il Col de l’Izoard da Briançon impiegavo 1h20m34s, mentre ieri ho impiegato poco più di un’ora e mezza (usando una bici di livello superiore).
Queste righe sono dedicate al Col de l’Izoard perché è la salita che mi ha insegnato di più, non la più dura che abbia mai affrontato ma quella che per la prima volta mi ha posto davanti all’esistenza di un limite. Perché la prima volta che ho provato ad affrontarla, con Ema nel 2012, in realtà non era neanche in programma. Dovevamo scalare il Monginevro partendo da Oulx e tornare indietro, poi arrivati a Briançon abbiamo visto l’indicazione Izoard e abbiamo proseguito, senza preoccuparci più di tanto delle energie a disposizione e delle scorte di acqua e cibo. In quell’occasione, quando mancavano meno di 4km alla vetta, ho capito cosa significa l’espressione “si è spenta la luce”. Mi sono fermato una volta, ho provato a ripartire, mi sono fermato di nuovo, benzina finita. Ancora rido se ripenso al fatto che non ci preoccupammo minimamente di alimentarci a dovere. Un mese dopo abbiamo poi riprovato lo stesso percorso portandolo a termine. E ci sono poi tornato in seguito, anche da solo, per godermi quella salita che la prima volta ho odiato.
Ho deciso di provare a tornarci a distanza di cinque anni dall’ultima volta, nel 2019, tre dei quali tormentati dalla malattia all’intestino e conditi, come se non bastasse, da una frattura rimediata in mountainbike. E indovinate? Dopo tre chilometri di salita ho trovato una simpatica poliziotta che mi avvisava che la strada era chiusa. I partecipanti al Embrunman (triathlon lunga distanza) avevano appena finito la parte di nuoto e stavano per attaccare la salita dall’altro versante e quindi c’era la possibilità di ostacolarli in discesa. Ripiego sul vicino, più lungo ma più facile Lautaret, missione Izoard rimandata a data da destinarsi.
Passa un altro anno, che inizia con me che sto meglio ma con il mondo intero che sta peggio. Tra una guerra sfiorata, gli incendi in Australia e l’emergenza covid-19 passano i primi mesi in maniera surreale. Poi la situazione migliora leggermente, si può di nuovo tornare alle attività all’aria aperta e finalmente arriva il momento per tornare lassù.
Io sono partito il giorno prima, ho dormito nel Qubo in un area sosta dalle parti di Nevache dove ho passato una piacevole serata in compagnia del mio collega Ale e di sua moglie. Il mattino seguente, 8 agosto 2020, ho atteso l’arrivo di Ema e insieme siamo andati su. Ovviamente non senza sbagliare strada. Ce la siamo presa comoda, non eravamo lì per fare il tempo o per gareggiare, siamo andati su regolari, senza esagerare. Trattandosi di un sabato c’era molto traffico, soprattutto di motociclisti, ma il bello delle salite francesi è che hai la tua corsia riservata e quindi il rischio è ridotto (non inesistente perché il fenomeno c’è sempre, ma almeno ridotto).
Ci siamo goduti il paesaggio, quel paesaggio che quando mancano una manciata di chilometri alla cima fa sparire gli alberi e si trasforma in deserto. Abbiamo scambiato qualche chiacchiera con i tantissimi ciclisti che incontravamo e siamo poi tornati giù. Finalmente siamo tornati sulla nostra salita preferita. Di seguito qualche foto.